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mercoledì 4 luglio 2012

Prove per il discorso di Laurea. L'antropologia Wittgensteiniana.


Salve gente.

Oggi niente frivolezze, solo cose serie.

Sono molto appassionato di Wittgenstein. Tanto da farci la tesi di laurea.
Lo so: mi hanno già detto in molti che sono folle. Ma fa nulla, a me piacciono le missioni impossibili.

Ludwig Wittgenstein: Vienna 1889 - Cambridge 1951
La prossima settimana discuterò la mia tesi specialistica su un aspetto poco noto della filosofia Wittgensteiniana: la religione, il relativismo e l'antropologia. Purtroppo in molti lo liquidano alle prime difficoltà (che sono sempre parecchie quando si parla di Wittgenstein). Spesso si conosce solo il primo Wittgenstein e non si coglie la continuità col secondo Wittgenstein, fautore di un pluralismo alternativo sia a quello aprioristico del relativismo che a quello troppo dogmatico delle teorie positiviste.

Per questo ed altri motivi consiglio vivamente di perseverare nella sua lettura anche se di difficile comprensione (io iniziai a studiarlo nel 2006 e mi misi le mani in testa). Il suo pensiero è molto attuale ed offre numerosi punti di riflessione anche per quanto riguarda il dibattito sul relativismo.


L'aspetto sulla religione è poco noto e rimanda a delle questioni antropologiche tanto care a Wittgenstein. E' un argomento molto, molto, interessante. Ma per affrontarlo bisogna prima conoscere un po' l'autore, ed in prevalenza il 'secondo Wittgenstein'.

Detto cio:
Il mio relatore pretende che riassuma in maniera molto sintetica la mia tesi per l'esposizione orale.
Mi chiedo: come faccio? E' folle!

Spiegare aspetti della filosofia Wittgensteiniana in 5 minuti equivale a farmi capire solo da lui. Sembra assurdo parlare dell'antropologia di Wittgenstein senza nessun preambolo. Lui stesso (Non Wittgenstein, ma il mio relatore) ha ammesso che è stato un lavoro piuttosto faticoso. Ma riassumerlo in così poco tempo sarà l'ennesima difficoltà di questa tesi.

Vedrò di fare un piccolo esperimento e di spiegarvi l'aspetto principale del lavoro. Ovviamente non vi sbatterò qui il discorso definitivo ma solo una, come dire...prova.


- Nonostante alcuni minimizzino il suo pensiero considerandolo un relativista, in realtà, ad un'attenta lettura, si capisce che Wittgenstein difficilmente si può considerare un relativista nel pieno senso del termine. Risulta, piuttosto,  promotore di una forma differente di pluralismo.

Egli diceva che non vi è modo di stabilire delle verità assolute ed incontrovertibili o di poter affermare che una forma di vita sia più 'giusta' di un'altra. Ma nonostante questo, che è sicuramente un punto comune alle teorie relativiste, egli credeva nella possibilità di esprimere pensieri del tutto soggettivi sulla ragionevolezza di un pensiero piuttosto che un altro, su una forma di vita rispetto ad altre e soprattutto sulla possibilità di poter comprendere una forma di vita anche dall'esterno, andando controcorrente rispetto alle idee particolariste di F. Boas (padre del relativismo culturale che considerava le culture come universi chiusi  e comprensibili solo dall'interno).

Secondo Wittgenstein ciò che è importate quando si esprime un giudizio è che non si abbia la presuntuosità di considerarlo come assoluto ed incontrovertibile, in quanto per giungere a giudizi assoluti sarebbero necessari dei meta-criteri (un po' come gli assiomi delle teorie matematiche), ovvero dei criteri imparziali, che non siano già propri di una particolare visione del mondo.

Quello del filosofo austriaco lo definirei un pluralismo attento al rispetto per gli altri ma che non nega la possibilità di esprimere il proprio punto di vista o di preferire liberamente e lecitamente un sistema di valori rispetto ad un altro.

Esteso al campo antropologico tutto ciò offre grandi spunti di riflessione: ad esempio egli pensava che sia assolutamente sbagliato utilizzare i parametri della scienza contemporanea per stabilire che i rituali primitivi siano delle forme di razionalità pre-logiche ed alla base del progresso scientifico (così come era proprio dei Funzionalisti quali ad esempio James Frazer). Sarebbe come calcolare il teorema di Pittagora con la formula per l'area del quadrato. Questo perché si tratta di due sistemi di di razionalità differenti, per cui non si può spiegare l'uno partendo dall'altro (si giungerebbe solo al fraintendimento).

Per questi motivi, Wittgenstein in campo antropologico preferisce sostituire il termine spiegazione con il termine Descrizione.
Nel campo antropologico, assolutamente diverso da quello delle scienze matematiche, si può solo descrivere qualcosa senza tentare di trovarne le cause remote, senza essere certi che una spiegazione logica esista sempre.

Talvolta i rituali, anche quelli religiosi, sono caratterizzati da gesti istintivi che celano dei significati nascosti e mistici. Difficile calcolare con esattezza quali siano le cause esatte di questi gesti.
Secondo Wittgenstein il credente ha un'immagine del mondo e delle credenze che influenzano la sua condotta. Si tratta di un'etica personale conforme alle proprie credenze, un modo di comportarsi assolutamente soggettivo che può essere differente da individuo ad individuo.
Trattandosi di un campo in cui la dimensione sentimentale incide parecchio sulla gestualità e sul modo di comportarsi in accordo con le proprie credenze, non si ha la facoltà di generizzare tutto secondo spiegazioni di carattere logico ed universale.

Dunque, secondo il filosofo austriaco, l'antropologo, cosciente che non può spiegare in modo logico pratiche e rituali, può comunque descriverli trovando delle somiglianze con i giochi linguistici propri della cultura a cui sarà destinata l'opera antropologica. Un lavoro di traduzione da elaborare nella forma che secondo l'antropologo è più appropriata.
In questo caso la descrizione è una costruzione sinottica del significato realizzata utilizzando concetti che il lettore già possiede (per esempio inventando anche esempi).
Una costruzione di questo tipo facilita la comprensione a chi dovrà leggere l'opera.

Il significato così configurato dall'antropologo non è mai assoluto e può sempre essere rivisto o essere differente da quello elaborato da altri antropologi.
Sarà poi il lettore, nell'intimo della propria soggettività, a poter sviluppare dei pensieri soggettivi rispetto a quanto ha letto.



Consapevole che ben pochi avranno il coraggio di arrivare alla fine di questo papiro in quanto forse solo a studenti di filosofia in paranoia con lo studio di Wittgenstein possa interessare la questione, vi saluto e vi auguro buona serata.

Bye.

NeOm


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